Addio capi e orario, con 2.0 la parola d'ordine รจ collaborazione
03SepBuongiorno, vorrei raccontarvi del mio lavoro di progettazione di spazi ufficio (space planning), attraverso il commento di un articolo che ho scelto a caso sul web di Marco Minghetti.
La mia intenzione è di parlare della stretta relazione che esiste tra obiettivi aziendali, dinamiche lavorative, implementazione tecnologica e spazi di lavoro.
A questo scopo, riporto qui sotto alcune parti dell’articolo.
Addio capi e orario, con 2.0 la parola d'ordine è collaborazione.
Di Marco Minghetti (http://torino.repubblica.it/dettaglio-news/17:09/4339297)
- Addio ufficio, orario di lavoro, capi e controlli. Le tecnologie social 2.0 stanno rivoluzionando i tradizionali modelli di organizzazione del lavoro verso uno schema fondato prevalentemente sul concetto di collaborazione.
- "Stiamo passando da un modello di tipo gerarchico, in cui pochi comandano e molti eseguono, a uno di tipo più collaborativo, partecipativo e meritocratico, che rovescia la tradizionale impostazione",
- Il top manager di Cisco sostiene che il modello ideale di organizzazione del lavoro futuribile è un mix di lavoro da remoto (da casa oppure ovunque si è connessi tramite i propri dispositivi mobile e portatili) e di presenza in ufficio.
- La tecnologia sana dovrebbe migliorare quello che già facciamo e non sostituire fondamentali attività umane che non possono essere compromesse, come per esempio i processi di socializzazione.
- Il concetto di luogo di lavoro, quindi, è certamente rivoluzionato grazie alla nuove tecnologie, ma non completamente superato. Di conseguenza, anche la valutazione del lavoro non può più basarsi sulla presenza costante in ufficio e sul rispetto del rigido orario di lavoro, ma dovrà prevedere nuovi e innovativi paradigmi.
- Collaborazione: punto focale e cruciale nelle nostre aziende per migliorare la performance, per capire meglio il mercato, per produrre idee innovative, per migliorare i prodotti e i servizi.
Bene, veniamo a noi.
Collaborazione significa parlare, mostrare, interagire, conoscere, confidenza, progettualità condivisa, …
Negli uffici “vecchio stampo”, possiamo farlo?
Per parlare con il nostro collega, dobbiamo alzarci, percorrere un corridoio, entrare in una porta e, se il nostro interlocutore è impegnato, attendere o tornare più tardi.
Quante volte possiamo fare questa trafila per parlare con i colleghi? 2, 3, 5 volte al giorno… ma poi? Ci stufiamo, rimandiamo al giorno dopo e la nostra idea a quel punto non ci sembra più tanto interessante, troviamo dei difetti, perdiamo il coraggio, sopraggiungono impegni più urgenti e …. lasciamo perdere, rinunciamo al confronto.
Proviamo ora pensare a un luogo che favorisca i contatti e le sollecitazioni, in cui la spontaneità della comunicazione e il “cogliere l’attimo”, si tramuta in efficacia e tempismo, dinamica che intendiamo attivare con le nostre progettazioni e tanto cara alle aziende in questi momenti storici.
Per innescare tutto questo dobbiamo destrutturare i nostri spazi, renderli flessibili, accogliere la tecnologia e offrire autonomia e utilità ai nostri movimenti.
Passare da un modello gerarchico a uno partecipativo e meritocratico non si mette in atto dall’oggi al domani, ma nasce come conseguenza di un processo maturo di relazioni, in un contesto in cui le personalità si mettono in gioco....
Manifestare collaborazione e partecipazione, significa muoversi mentalmente e fisicamente, svelarsi, assumersi la responsabilità del proprio comportamento, in funzione dei risultati e degli insuccessi, dosando ideali e frustrazioni assecondando
la nostra personalità miscelata ad un’ottica di cooperazione aziendale e di condivisione degli obiettivi.
Se tutto questo lo doveste attivare a casa vostra, che ambiente scegliereste come icona di questo fermento?
Secondo me la cucina sarebbe il luogo più adatto!
In cucina tutti hanno un’opinione, conoscono i propri gusti, hanno delle esigenze e delle attese personali maturate e coltivate da sempre, i gesti sono spontanei, le menti accoglienti e i sensi all’erta.
Ecco perché tante aziende si dotano di mense attraenti, aree break, coffee point sparsi un po’ ovunque, perché hanno capito che l’atteggiamento fisico e mentale delle persone quando mangiano o bevono in compagnia, attinge al vissuto familiare e, alimenta nelle persone, un atteggiamento di apertura e di ascolto, insomma, di naturale coinvolgimento e disponibilità.
Le relazioni e la collaborazione in questi contesti si sono dimostrati molto più efficaci che nelle tradizionali sale riunioni.
Servono ambienti adatti per assecondare la socializzazione spontanea!
Associare una persona a una scrivania e ad una mansione, non è molto utile per attivare le modalità descritte fino ad ora, anzi, spesso diventa un alibi da entrambe le parti: il responsabile vede la persona al proprio posto e vuole credere che stia lavorando, la persona si sente al sicuro e protetta da ogni dubbio, se ne sta ferma e zitta….. siamo tutti a posto con le apparenze, ma inutile dire che non serve a nessuno.
D’altro canto non sono assolutamente d’accordo con chi, spesso per dare una parvenza di modernità e innovazione, ha tradotto i concetti di benessere legato allo space planning, in “uffici gioco” o in spazi dedicati al divertimento precostituito.
Queste ultime possono creare aggregazione e collaborazione solo in alcune realtà lavorative, dove si cercano talenti di un certo tipo e di una determinata fascia di età.
Ha ragione De Masi, quando afferma che tante aziende della Silicon Valley, hanno fatto operazioni in tal senso abbastanza discutibili: hanno ricreato il mondo esterno, all’interno delle aziende, in una sorta di realtà artefatta e preconfezionata a prescindere dal tipo di azienda e di persone.
Insomma, molto semplicemente, vogliamo che l’immagine della nostra azienda sia rappresentata da scrivanie e armadi che scandiscono gli spazi e assoggettano le persone alla rigidità delle loro forme e dimensioni?
O al contrario, dovremmo fare in modo che lo spazio si modelli intorno al tipo di progettualità che intendiamo assecondare, e rappresenti fisicamente il DNA delle relazioni in funzione degli obiettivi propri di ogni azienda?
Si sbaglia meno in compagnia che da soli…